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Civiltà della vertigine | Kasparhauser 11
A cura di Marco Tabacchini




Per una sintassi della vertigine. La pieuvre di Caillois
di Giuseppe Crivella

Agosto 2015


Introduzione

Sviluppato a partire da una documentazione vasta, eterogenea e capillare che spazia dalla letteratura greca fino ai testi scientifici del Novecento, il denso saggio su La piuevre [1] uscito per la prima volta nel 1973 rappresenta all’interno della produzione di Caillois uno testo tutt’altro che secondario.

È in effetti il sottotitolo — Essai sur la logique de l’imaginaire — a sottolineare il ruolo di indiscutibile centralità che tale scritto occupa nella produzione coeva dell’autore: non è un caso infatti che quando Gallimard progetterà una pubblicazione finalizzata a raccogliere in una corposissima silloge molti degli scritti di Caillois usciti su varie riviste, La pieuvre verrà collocata alla fine della quinta sezione quale sfolgorante culmine della riflessione dedicata a Imaginaire, rêve, fantastique. Insieme a Cohérences aventureuses [2] 3 uno scritto del 1976, dunque di tre anni posteriore al La pieuvre — il testo qui in esame è il più esteso e il più dettagliato. In esso Caillois, forse per la prima volta in modo così scrupoloso, tenta una disamina precisa e documentata di un fenomeno appartenente all’immaginario universale degli uomini, in seno al quale una sorta di imponderabile e sorprendente metaforologia [3] si coniuga con una complessa fenomenologia dell’amorfo, entrambe censite ed esposte dall’autore grazie ad un incrocio di corrispondenze testuali a lungo raggio.

La pieuvre pertanto costituisce all’interno della produzione di Caillois un ulteriore contributo per la messa a fuoco di quella inedita e innovativa Logique de l’imaginaire che egli da sempre aveva cercato di perseguire e che per la prima volta appare in modo esplicito come una esigenza di ricerca nel 1970, col saggio dedicato alla scacchiera, dal titolo Cases d’un échiquier il sottotitolo del quale recita appunto Logique de l’imaginaire.

Ma che cosa intendeva Caillois con questa espressione? È l’autore stesso a dircelo in una breve nota esplicativa che egli appose ad una antologia dei suoi scritti dedicati all’esplorazione dell’immaginario dal titolo Approches de l’imaginaire [4] progettata verso la fine degli anni ’60. Ecco come Caillois si esprime in merito alle finalità del suo lavoro:
Ces études […] s’efforcent, chacune à leur manière, de définir la logique de l’imaginaire. Elles racontent une sorte d’éducation intellectuelle toujours orientée vers un même but: défricher l’univers sensible afin d’y déceler des corrélations, des réseaux, des carrefours, des régularités, en un mot quelques-unes des réverbérations mystérieuses dont se trouve marqué ou illuminé l’épiderme du monde, depuis les dessins des pierres dans la matière inerte jusqu’aux images des poètes dans le jeu apparemment libre de l’imagination […]. Dans l’une et dans l’autre de ces extrémités, j’ai cru dès le début qu’il devait régner une syntaxe. [5]
Lo studio su La pieuvre nasce come messa in opera di questo progetto di ricostruzione della logica dell’immaginario guidata dal vettore sintattico. Non deve stupire qui che Caillois parli esplicitamente di una syntaxe quale criterio portante delle sue analisi: in effetti è difficile non postulare una conoscenza piuttosto approfondita degli studi di Lévi-Strauss [6] sull’armatura sintattica dei miti colti nei processi minuti e continui delle loro trasformazioni, così come è quasi impossibile che l’autore non conoscesse il poderoso studio di Gilbert Durand su Les structures anthropologiques de l’imaginaire [7] uscito per la PUF nel 1963.

Va però precisato da subito che Caillois oltre a non citare mai nello studio in questione né Lévi-Strauss, né Durand, opta per un taglio metodologico che si distanzia radicalmente sia dallo strutturalismo del primo sia dal rigorosissimo spoglio comparativistico di sapore bachelardiano che sorregge le analisi del secondo. La sintassi cercata ne La pieuvre è in primis una sintassi della vertigine, una messa in relazione di luoghi testuali che mandano in stallo le consuete pratiche di pensiero e di raccordo facendo esplodere l’immaginario in un pulviscolo di manifestazioni e trasformazioni da cui sembra essere esclusa ogni possibilità di reductio ad unum.

La sintassi qui appare non tanto come una struttura che imbriglia e sistema le occorrenze del dato immaginario in un complesso pattern di ridistribuzioni endogene dei valori in gioco permutabili secondo una logica intestina ai processi di modificazione, ma piuttosto essa ogni volta da capo fa apparire il dato fenomenico come una struttura infinitamente aperta e malleabile, simile ad un imponderabile quid soggetto ad una serie di manipolazioni concettuali i quali quanto più sembrano voler dare una delineazione definita e definitiva al fenomeno in questione, tanto più risultano fallibili e inappropriati. Se esiste una logica dell’immaginario, questa opera attraverso un reticolo di raccordi che sfibrano la realtà sensibile facendo nascere dal suo seno tutto una universo di simbolizzazioni e risemantizzazioni le quali riescono a dépayser le monde à sa surface nell’attimo stesso in cui tale surface si rivela essere una illegittima concrezione intellettuale ove si annida un insidioso potere narcotizzante che finisce col disciplinare e disinnescare anche quella sintassi della vertigine in cui per Caillois si esprime una delle forme massime di libertà dell’uomo.

La pieuvre in tal senso appare come un ottimo banco di prova per tentare da una parte di enucleare gli estremi euristici di suddetta sintassi, dall’altra per mettere in relazione le riflessioni di Caillois con un plesso di studi a lui coevi o di poco posteriori che ai nostri occhi sembrano muoversi nella stessa direzione delle analisi dell’autore de Les jeux et les hommes e che quindi abbiamo ritenuto interessante affiancargli al fine di far emergere, come in un esame contrastivo, una sorta di polifonico affresco sull’immaginario che trova nelle opere di Deleuze, Canetti e Bataille elementi di originale e indiscussa rilevanza.


1. Piccolo dedalo morfogenetico

Affrontando nel terzo dei loro Mille plateaux in modo alquanto ravvicinato la querelle che all’inizio del XIX secolo vide fronteggiarsi Cuvier e Geoffroy Saint-Hilaire, Deleuze e Guattari osservano come l’opposizione tra le impostazioni degli studiosi fosse legata ad una serie di posizioni teoriche sintetizzabili in pochi punti:
1. La questione della stratificazione intesa quale processo di divisibilità della materia costituente l’organismo in particelle decrescenti, in flussi o fluidi elastici portati a dispiegarsi nello spazio tramite irraggiamento.

2. L’esistenza di assi, tipi direzionali di sviluppo, sistemi di innesto e raccordo congruenti che vengono a moltiplicarsi man mano che la sistematica animale procede in senso ascendente verso livelli di complessità crescente.

3. La nozione di acquisizioni nomadi, intese qui come delle frontiere mobili e permeabili di strutturazione organica che si presentano trasversalmente nel mondo animale indipendente dal grado di articolazione ed evoluzione dell’esemplare studiato.

4. La focalizzazione sugli epistrati, quali strati intermediari in grado di presentare nuove figure e inedite possibilità formali all’interno di un individuo specifico. Essi rappresentano ora delle soglie provvisorie all’interno di certi organismi destinati poi a scomparire o a riassorbirsi, ora delle linee virtuali di attualizzazione funzionale da cui deriveranno delle varianti mutate di uno stesso esemplare.

5. La inseparabilità di certi ambienti con determinate forme di vita. Il rapporto tra organismo e spazio — anche grazie alle analisi di Simondon [8] — diventa qui cardinale per capire la genesi del vivente: piegature, invaginazioni, stiramenti e migrazioni cellulari sono solo alcuni dei fenomeni di trasformazione che l’ambiente provoca sull’esemplare in un sistema di deterritorializzazioni incrociate rilette dagli autori in termini di codifica e decodifica.
È difficile dire se Deleuze e Guattari avessero letto Caillois e lo avessero presente nel momento in cui scrivevano queste pagine. Certo, pur non evocandolo mai, animali come la medusa e i cefalopodi compaiono da subito in questo plateau come alcuni tra i viventi maggiormente interessati dai processi morfogenetici esaminati dai due autori.

Se infatti prendiamo il saggio di Caillois e ribaltiamo su di esso i cinque punti appena isolati possiamo vedere come questi permettano di desumere una sorta di raffinata griglia euristica grazie alla quale mettere a fuoco i principi del imponderabile fenomenologia metamorfica — o forse sarebbe più corretto dire polimorfica — che la piovra esibisce. Vediamo più o meno nel dettaglio le corrispondenze tra i cinque nuclei di Mille plateaux e le cinque caratteristiche che Caillois riconosce alla piovra:
1) In primis in essa non è dato ravvisare un confine preciso tra forme incongrue. Ciò significa che nel suo organismo convivono delle formazioni che non si trovano in alcun altro essere vivente coniugate così come si presentano in essa. La forma complessiva qui dunque non sembra rispondere ad un principio di armonia e di osmosi reciproca tra le parti, ma piuttosto diventa la risultanza di ipotesi genetiche eterogenee.

2) Dove nasce, alla luce di quanto appena detto, il corpo coordinante? La piovra sembra essere una sorta di informe plasma organico che raccoglie in sé una molteplicità di tipi animali del tutto difformi e lontano tra di loro senza riuscire a portarli a sintesi compiuta, anzi lasciando tali tipi ben differenziati e operanti in sé.

3) Innegabile è a questo punto l’esistenza di chiari limiti di funzionalità incrociata all’interno del corpo della piovra. Se il corpo coordinante, presso altri viventi, deve assicurare la coerenza tra le varie parti dell’organismo e la continuità delle funzioni da una parte all’altra, nella piovra l’eccesso di forme incongrue fa in modo che l’ipotesi dell’esistenza di una continuità funzionale venga messa in dubbio, così che il cefalopode sembra obbedire ad un principio di organizzazione e costituzione privo di riscontri presso altri viventi.

4) A quale classe appartiene quindi la piovra? Caillois risponde a questa domanda osservando come già Michelet nel suo La mer la vedesse come una sorta di larve étérnelle [9], di organismo rimasto allo stato di embrione in stallo e quindi del tutto incapace di una maturazione ulteriore verso una forma di vita che non sia un coacervo di soluzioni morfologiche eteroclite.

5) Esaminata in questo senso la piovra si presenta ai nostri occhi come un vero e proprio vortice fenomenologico al cui centro non troviamo null’altro che un animale astratto ove la connivenza tra l’immaginario e il reale si fa talmente serrata da sfociare in un lirismo visionario che esploderà soprattutto in periodo romantico e post-romantico. In particolare sarà Victor Hugo a fare della piovra un ammasso informe di proprietà astratte in forza delle quali essa smette di essere soltanto una forma di vita concretamente esistente per diventare un véritable blasphème de la création contre elle-même. [10]
Presso la piovra lacerti di specie differenti si affastellano e si incrociano pervenendo ad una sommatoria di stratificazioni organiche desultorie e apparentemente disfunzionali. Focolai dispersi di noduli germinativi remoti e inconciliabili si annodano in una mossa cristallizzazione di postulazioni e suggestioni epigenetiche la cui anatomia complessiva assomiglia ad una geroglifica ramificazione di scomposte propulsioni organiche paradossalmente collimanti in una mobile concatenazione di soluzioni morfologiche simili ad un compresso bestiario ove convivono forme di vita che oscillano liberamente dalla zampa del ragno alla capigliatura delle Furie. [11]


2. Gaudium teratologicum: il corpo come massa e come spatium

Tra il 1964 e il 1972 la Revue d’histoire des sciences ospitò una serie di contributi aventi tutti per oggetto gli studi di Geoffroy de Saint-Hilaire sulla cosiddetta teratologia sperimentale. In particolare furono gli scritti di tre autori ad attirare l’attenzione sull’opera del grande biologo francese — messo un po’ in ombra dal trionfo di Cuvier all’epoca del loro scontro — rilanciandone in modo originale lo studio e facendo nascere un rinnovato interesse proprio per le questioni afferenti la teratologia.

Jean-Louis Fischer, Bernard Duhamel e Jean Rostand dedicarono non poche riflessioni agli esperimenti di Geoffroy Saint-Hilaire compiuti sui polli e sulle uova, finalizzati alla messa a punto di un metodo sperimentale in grado di dare luogo a dei “mostri”. Nello specifico fu il secondo, Bernard Duhamel, ad inquadrare la questione in modo decisamente sorprendente, osservando nelle battute iniziali del suo scritto che
Geoffroy Saint-Hilaire a eu […] la géniale intuition que la monstruosité n’était pas un désordre aveugle, la négation de toute loi, mais bien au contraire un ordre différent de l’ordre habituel, un ordre nouveau obéissant cependant à des règles identiques. [12]
Partendo da questi assunti Geoffroy Saint-Hilaire tentò di stabilire una classificazione para-linneana organizzata in generi e specie, la quale tuttavia oltre ad essere retta da un sistema incrociato di riscontri funzionali e morfologici, fosse scandita nella sua articolazione da un principio strettamente analogico, in forza del quale mostrare come la formazione teratologica fosse la risultanza di una serie di sovrapposizioni strutturali derivanti da portati morfologici preesistenti in natura ma non coniugati secondo quel piano di organizzazione presente invece in maniera compiuta presso il “mostro” preso in esame.

A distanza di un anno, lo scritto di Caillois sembra ricalcare precisamente le analisi di questo studioso, non foss’altro che per la presenza di una espressione che, pur comparendo una sola volta nel corso del saggio su La pieuvre, in effetti scandisce buona parte dello sviluppo delle analisi svolte in esso. L’autore parla infatti di magie analogique [13]. Essa è evocata per essere esclusa immediatamente, ma in effetti Caillois torna di continuo a servirsi di essa dal momento che, per chiarire quale sia la gestazione immaginaria du phantasme [14] più e più volte egli si trova nella necessità di mostrare come la costituzione della piovra derivi per via analogica da una serie di configurazioni formali appartenenti ad altri animali i quali occupano all’interno della sistematica posizioni completamente diverse, per non dire lontanissime.

Ma tale magia analogica in che modo si esplica? Seguendo Caillois possiamo individuare due direttrici principali: da una parte abbiamo la piovra come complesso osmotico con l’ambiente; il suo corpo non ha articolazione definita e soprattutto la sua capacità cromo-mimetica le permette di scomparire nel milieu-ambiant [15] o di riaffiorarne come se fosse una sorta di ibrido tra il mondo animale e lo sfondo minerale dei fondali marini. Dall’altra parte invece essa nasce dall’incongruo intersecarsi di organi e funzioni apparentemente prive di una logica connettiva interna.

Rimandando al prossimo capitolo questo secondo asse teratologico, ci soffermeremo qui sul primo analizzando in che modo il corpo della piova possa essere studiato nella sua mostruosa specificità. Per far ciò chiamiamo in causa da subito lo scritto di due autori, a nostro giudizio, molto prossimi a Caillois, ovvero Elias Canetti e Gilles Deleuze.

Perché Canetti? Perché nessuno come lui ha riflettuto in modo tanto puntuale e penetrante sulla nozione di /massa/. Ma perché allora chiamare qui in causa la massa? È sufficiente scorrere brevemente lo studio di Caillois per accorgersi che in più punti egli mostra la piovra come un cumulo informe di materia, come un aggregato gelatinoso, come una massa indifferenziata dotata di proprietà elastiche in grado di raggiungere proporzioni mostruose. [16]

Alla luce di queste osservazioni, è possibile trovare nello studio del 1960 di Canetti due definizioni della massa che permettono una comprensione più ampia di questa anomala fenomenologia della piovra che Caillois mette qui in scena.

La piovra-massa pertanto esibisce due caratteristiche salienti:
1) ha la proprietà dello scoppio: «direi di chiamare scoppio la trasformazione subitanea di una massa chiusa in una massa aperta. Questo processo si ripete di frequente; non va però inteso in senso troppo spaziale. Spesso la massa sembra traboccare da uno spazio in cui si trovava al sicuro […] attraendo tutto a sé ed essendo esposta a tutto si espande liberamente». [17]

2) pur nella sua indistinzione ha molte forme diverse [18] le quali partecipano però in modo fluido ad uno stesso movimento; in essa è quindi possibile ravvisare quell’«estremo procedere dell’uguaglianza», [19] tipica delle masse statiche che si concentrano in uno stato amorfo per poi scoppiare in modo tanto più violento.

Vista come massa, la piovra diventa un organismo prensile e inavvertito che avvolge la preda inguainandola nel proprio corpo-membrana il quale sembra affine ad una sorta di animata ragnatela da cui risulta impossibile uscire una volta accerchiati da essa. È proprio Caillois a sviluppare questa analogia notando come
la pieuvre se présente à l’oeil naïf comme une araignée gigantesque et visqueuse, plus redoutable peut-être d’habiter un autre milieu et de se tenir non pas au centre d’un piège, mais d’être d’une certaine façon piège elle-même. [20]
Ma le attitudini della piovra-massa non si fermano qui. Essa ha un’altra proprietà, ovvero la capacità di confondersi con l’ambiente in cui vive e si muove, la capacità cioè di diventare spatium, nella accezione che di esso ha dato Deleuze in uno dei passi più noti e fortunati di Différence et répétition. Andando nello specifico, che cos’è lo spatium e in che modo possiamo riferirlo alla piova di Caillois?

Riprendendo la nozione di spatium da Cohen, [21] Deleuze lo definisce come una profondità ove si trovano implicate, avvolte, legate e sovrapposte tutte le distanze che verranno poi a estrinsecarsi nelle grandezze apparenti e nelle estensioni di superficie. È una dimensione intensiva e totalizzante, in cui l’identità dell’oggetto si delinea in forza di serie di intensità isolabili e variabili. Lo spatium è pertanto quell’astratto bacino metamorfico in seno al quale l’impercettibile e il differenziale stringono una alleanza anomala la quale porta a comunicare tramite una sorta di aurorale sintesi disgiuntiva le varie ipotesi formali che si abbozzano in essa tramite una controversa commistione e collisione di limiti. È difficile non pensare qui ancora una volta a Simondon, e in particolare a quei passi dedicati alla réalité de relation in cui l’autore mostra l’esistenza e la operatività «d’un rapport analogique entre la substance amorphe et le germe structural». [22] Esso contiene a livello potenziale e diffuso tutte le individuazioni successive che avranno luogo nell’estensione e che si svilupperanno secondo tracciato che obbediscono a cadute e ascese, abbassamenti e correnti opposte o convergenti. La profondità dello spatium è entropica e omogenea, isotropa a lungo raggio potremmo dire, carica di una sensibilità ribollente in cui la presenza dei futuri fattori individuanti si situa sulla quella linea vulcanica di fiammeggiamento che li conduce a opporsi l’un l’altro e ad escludersi nel momento in cui giungeranno ad estrinsecarsi nella estensione.

Da questo stesso spatium affiora la piova di Caillois. Il suo polimorfismo nasce da una commistione e contaminazione di elementi disgiuntivi come il prodotto di una logica oscura la quale sembra aver operato una sélection inconsciente [23] all’interno delle possibilità morfologiche contenute nello spatium. In particolare Caillois individua tre caratteristiche principali nella teratogenesi [24] della piovra:

1) La piovra come effetto di un excessus formarum:
le poulpe se présente […] doué d’exceptionnelles facultés de camouflage et d’intimidation. Tour à tour algue, éponge, rocher ou épouvantail, il dispose d’un vaste répertoire de figures. Ses bras peuvent à volonté se replier sous l’abdomen comme se recourber au-dessus de la tête. Celle-ci ou bien se résorbe dans le corps ou se dresse légèrement au-dessus de lui et s’élève si haut que la bête paraît soudain se tenir debout. Quand elle nage, elle ressemble à un parapluie fermé; au repos, elle paraît un ballon gonflé. Elle fait rayonner ses huit tentacules en une parfaite symétrie, mais cette symétrie, à son gré, tremble et s’efface, devient disruptive, de façon à détruire la forme caractéristique de l’animal et à l’assimiler, grâce è une distribution adéquate des couleurs qu’il adopte immédiatement, aux graviers et aux algues corallines sur lesquels il repose de préférence. [25]
2) La piovra come punto di contaminazione tra funzioni eterogenee:
le poulpe est l’inventeur de la tête, c’est-à-dire de la concentration dans le même espace des sens supérieurs, des fonctions de représentations et de régulations, enfin d’une capacité purement réflexe [...]. Dans le cas particulier des céphalopodes, l’organisme ou la sensibilité s’était trouvé jusque là éparse et quasi indifférenciée, fut exagérément sacrifiée à la naissance de la nouvelle aire où les centres de réceptions et de décision étaient désormais rassemblés. Tout se passa comme si le corps, à l’exception des appendices servant à la préhension et à la locomotion, avait été résorbés dans la tête. [26]
3) La piovra come spazio-zero della individuazione organica:
les tentacules de l’animal jouent simultanément le rôle de courroies adhésives et de fouets. Sa symétrie rayonnée est celle d’une anémone carnivore qui tour à tour s’ouvre et se referme, flamboie et se rétracte. La bête ne consiste qu’en un sac, en une poche gluante, mais qui commande à ce qu’il est légitime d’appeler une «araignée» des muscles puissants […]. Une gelée qui insaisissable lance autour d’elle des garrots avides et sensibles, capables, croit-on, d’aspirer les sèves vitales et els faire passer en eux à travers l’épiderme de la victime. Les noeuds des serpents élastiques et luxurieux sont disposés autour d’une vulve sombre où il semble que la proie, exsangue et déchirée, doive finalement être engloutie. [27]
3. La difficile epifania dell’informe

Ma che cos’è una forma? O meglio, dove ha inizio una forma? All’interno del lunghissimo arco storico della filosofia occidentale vi è probabilmente una linea portante che salda in modo alquanto serrato la riflessione di Aristotele sulle parti degli animali con le considerazioni di Hegel riguardanti l’organismo animale. Consapevoli del fatto che non possiamo esaurire qui l’argomento, ci soffermeremo per qualche istante su alcuni passi dello Stagirita per vedere come egli venga ripreso e riletto attentamente dal filosofo tedesco, al fine di mostrare poi in un secondo momento la distanza che separa Caillois dalle posizioni dei due filosofi.

Nel corso del suo trattato Sulle parti degli animali Aristotele affronta varie volte la questione della conformazione dei molluschi e dei polpi; di questi ultimi in particolare si contano almeno sei occorrenze specifiche, in cui l’animale viene preso in considerazione per lo più per la eccezionalità della sua struttura.

Nel settimo capitolo del secondo libro, ad esempio, parlando della relazione tra l’encefalo e il calore del sangue presso determinate specie di animali, lo Stagirita nota che tra i molluschi e malacostraci (granchi, aragoste, astici et similia) nessuno ha un encefalo, tranne il polpo che fa eccezione secondo l’analogo, [28] ovvero sulla base di una somiglianza formale a cui però non corrisponde una omologia funzionale. Alcune pagine dopo, nell’ottavo capitolo consacrato alla descrizione delle parti omogenee di consistenza molle o dura, il discorso sul polpo ritorna, però in una accezione completamente rovesciata rispetto all’occorrenza precedente: se prima esso si distanziava dai suoi congeneri per la presenza analogica dell’encefalo, qui se ne allontana perché è lui a non possedere alcuna parte dura, analoga a quella delle spine dei pesci o di altri animali. [29]

È però senza dubbio nelle esposizioni del quarto libro che le analisi sul polpo si fanno più stringenti: nel corso del quinto capitolo, dopo aver puntualizzato che il polpo possiede un corpo molto più molle del totano, esso viene studiato in riferimento al suo fango (θολόν), «prodotto in una tunica membranosa che ha l’uscita e il termine nel luogo da cui emettono il residuo dello stomaco», [30] usato spesso come mezzo di difesa. Tali animali inoltre sono definiti in questo contesto freddi e paurosi. Nel nono capitolo di questo ultimo libro troviamo tuttavia la notazione più interessante sul polpo: riguardo alle parti esterne del corpo i molluschi hanno il mantello che è privo di un termine definito; come se non bastasse, in essi è possibile trovare occhi, denti e bocca intorno a cui sono disposti i piedi — ovvero i tentacoli — usati presso la seppia, il totano e il polpo per scopi diversi a seconda della loro lunghezza, della presenza delle ventose o della loro forza prensile o costrittiva. [31]

Qual è pertanto la tesi di Aristotele? All’inizio del secondo libro troviamo esposta con estrema precisione il disegno teorico che regge l’intera riflessione: ogni classe di organismi viene esaminata secondo tre assi di composizione che vanno dalla identificazione degli elementi semplici a quella della configurazione di quest’ultimi prima in parti omogenee poi in parti disomogenee, secondo una complessità crescente di articolazione strutturale e funzionale degli organismi. Ma questa constatazione non può prescindere da una precisazione che l’autore colloca nelle battute iniziali del terzo capitolo del primo libro: «la differenza è la forma nella materia. Infatti né esiste alcuna parte di animale senza materia, né essa può essere sola materia, giacché un corpo non sarà un animale […], né nessuna delle parti». [32] La forma qui è orchestrazione della materia, organizzazione e sviluppo coerente di parti omogenee che vengono a differenziarsi in organismi sempre più complessi.

Ma la piovra risponde a questi requisiti? È possibile collocare una forma di organizzazione delle parti come la sua in un contesto teorico simile? Prima di rispondere vorremmo citare un passo della Enciclopedia hegeliana, sottolineando la stretta congruenza di intenti e posizioni tra i due autori.

Nelle battute finali dell’Organica, dedicate all’organismo animale, Hegel affronta il tema della figura (Gestalt) come quel Tutto che, presso il vivente, è soltanto in relazione a se stesso e quindi si presenta quale Concetto nelle sue determinazioni sviluppate ed esistenti al suo interno. Sensibilità, irritabilità, riproduzione, sistema nervoso, sanguigno e riproduttivo [33] sono i momenti in cui il concetto si particolarizza, sempre però tenendo ferma la coordinata della figura in quanto luogo di una compenetrazione universale concreta che tiene congiunti gli elementi differenziali dei sistemi organici.

È la figura ciò in vista di cui si compiono tutti questi processi ed è essa a costituire il polo permanente sia nel momento in cui il corpo dell’animale è soggetto a una differenziazione esterna in testa, petto, addome, sia allorché esso è soggetto a una suddivisione interna in membra e organi. Chiosa infatti Hegel: «la figura, mentre è entro sé conchiusa (indem sie beschlossen in sich ist) rinvia in sé alle sue direzioni verso l’esterno. In quanto vivente (als lebendig) […] è il processo di configurazione all’interno di se stessa (Gestaltungsprozess innehalb iherer selbst)». [34] Si tratta a tutti gli effetti di un quadro ontologico-metafisco compatto e unitario. Senza richiamare qui tutti i riferimenti di Fisica e Metafisica a corroborare la legittimità di questo essenziale aperçu aristotelico-hegeliano, basterà una sola ulteriore citazione da Le parti degli animali, in cui si osserva che «la natura secondo la forma è più rilevante della natura materiale». [35]

Ma quanto fin qui detto vale anche per la complessa fenomenologia della piovra messa in campo da Caillois? Crediamo di no. All’interno di quella solidissima e tenace tradizione filosofica che trova in Aristotele e Hegel i maggiori rappresentanti, ne esiste un’altra, riposta, sotterranea, felpata, ma estremamente viva e produttiva. Probabilmente nessuno meglio di Bataille ha esplicitato l’esistenza di questa agitazione latente che pulsa sotto le precise e ordinate architetture metafisiche che reggono la teoria della forma appena esposta. In uno dei suoi contributi pubblicati durante l’avventura di Documents, il filosofo de La part maudite scrive:
un dictionnaire commencerait à partir du moment où il ne donnerait plus le sens mais les besognes des mots. Ainsi informe n’est pas seulement un adjectif ayant tel sens mais un terme servant à déclasser, exigeant généralement que chaque chose ait sa forme. Ce qu’il désigne n’a ses droits dans aucun sens et se fait écraser partout comme une araignée ou un ver de terre. Il faudrait en effet, pour que les hommes académiques soient contents, que l’univers prenne forme. La philosophie n’a pas d’autre but: il s’agit de donner une redingote à ce qui est, une redingote mathématique. Par contre affirmer que l’univers ne ressemble à rien et n’est qu’informe revient à dire que l’univers est quelque chose comme une araignée ou un crachat. [36]
Scritto alla fine degli anni ’20 questo testo coglie in pieno una serie di questioni e temi che si ripresenteranno nel saggio di Caillois in maniera più estesa e con la stessa urgenza. L’informe, per Bataille come per Caillois affiora là dove i nomi vengono a mancare, dove l’apparizione della chose erompe al di fuori dei limiti del linguaggio, forzandone le possibilità di definizione e decifrazione. La piovra da subito si manifesta con questo stesso carattere nella disamina della sua fenomenologia che Caillois sviluppa a partire da Michelet: interpellandola con disgusto, egli infatti le si rivolge dicendole «tu es un masque plus qu’un être, un vessie vide. Mort, il n’est plus qu’un je ne sais quoi sans nom, une eau de mer évanouie». [37]

Senza nome, priva di forma, simile ad una spettrale rifrangenza equorea prossima a svanire dal liquido da cui è sorta, la piovra sintetizza in sé il massimo spettacolo di una informitas raggiunta grazie ad una contrazione paradossale e trasversale di forme definite e specifiche proprie di conformazioni animali disparate. In essa una torbida osmosi morfogenetica ha dato luogo ad una ibridazione plurale che da una parte la rende assolutamente unica nel mondo animale, dall’altra fa convergere su di essa un ricco plesso di analogie formali che la raccordano direttamente proprio con l’altro animale che Bataille trasceglie quale simbolo dell’informe, cioè il ragno; ecco come Caillois chiosa questa somiglianza ricorrente:
les auteurs de récits fantastiques imaginent volontiers des araignées géantes qui apparaissent comme les répliques terrestres des pieuvres et qui, comme elles, tapies au fond d’une grotte, happent au passage celui qui y pénètre et le vident de son sang […]. L’imagination aime à réunir la pieuvre et l’araignée dans le même fantasme d’un monstre enveloppant qui procède par succion. Le poulpe apporte la réalité d’un arachnide géant et marin. [38]
Ma le riflessioni più sorprendenti riguardano l’analisi della mostruosa congerie di membra, parti anatomiche e organi che si trovano armonicamente congiunte nella piovra. Essa concentra in sé caratteri propri del mondo animale e del mondo vegetale, nonché aspetti specifici del mondo minerale con cui finisce non solo col mimetizzarsi ma anche col confondersi nel momento in cui le ventose dei suoi tentacoli la ancorano alle rocce del fondale marino trasformandola in una sorta di vortice spurio a metà tra la spaventosa viscosità della sua consistenza gelatinosa e la dura resistenza di un sasso improvvisamente pervaso di vita e di volontà omicida.

Il tentacolo, la ventosa, il becco, l’occhio dallo sguardo umano, la macrocefalia legata ad una sostanziale assenza di corpo definito, il movimento plastico e avvolgente, vorticoso e sinuoso sono i tratti di una forma di vita che non trova termini esplicativi all’interno della sistematica animale. Se per Michelet essa si configura come una maschera priva di essere e per Lautréamont è paragonabile all’esatto contrario dell’idea di Dio — nella cui stretta vischiosa egli stesso rischia di soffocare e sparire — per Hugo la piovra è un capolavoro la cui bestialità risulta composta di cenere; essa appare come malattia sistemata in forma di mostro, una stella vorace, una viscosità dotata di volontà, un sole-spettro nella cui orribile natura anfibia il chimerico e il reale danno luogo ad un amplesso viscido e spavento. Definita come un vivant clavier de ventouses la piovra non mira tanto a fagocitare la vittima, ma ad assimilarla a sé, ad imbozzolarla nel suo corpo scabrosamente gelatinoso, ad assorbirla nella sua immonda linfa di mollusco facendo crepare i muscoli, torcendo le fibre e provocando l’esplosione della pelle. L’indicibile atrocità della sua suzione trasforma radicalmente il corpo della preda, la trasmuta in sé stessa, la rende un organismo informe e inconsistente trasferendole i suoi connotati specifici.

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Abbiamo cercato di affrontare il testo di Caillois situandolo in un contesto più ampio. Deleuze, Canetti e Bataille ci sono sembrati degli ottimi strumenti esegetici da far convergere sul saggio dedicato a La pieuvre, al fine di metterne in luce non solo i numerosi punti di forza, ma anche i vari e tenacia addentellati, forse non sempre evidenti ad una prima lettura, che esso intrattiene con molta saggistica coeva o di poco anteriore.

Caillois sapeva benissimo di non essere uno studioso di immaginario isolato e soprattutto sapeva perfettamente che tra i suoi studi e gli scritti di altri autori era possibile ravvisare delle convergenze. Noi ci siamo limitati ad esplicitare queste ultime, sottolineando come la pagine su La pieuvre rappresentano a tutti gli effetti uno snodo cruciale all’interno della riflessione su una possibile filosofia dell’immaginario — e dell’immagine — a tutt’oggi ancora da sviscerare. Morfologia, teratologia e epifania dell’informe ci sono allora sembrati i tre vertici di un poligono mobile all’interno del quale far muovere la nostra lettura del saggio di Caillois, sovrapponendovi un fertile fascio di riferimenti contestuali ad esso.

Se è vero, come afferma l’autore, che «l’imagination apparaît nécessairement comme un des prolongements possibles de la nature», [39] era allora inevitabile far entrare in relazione alcuni passi de La pieuvre con gli studi di Deleuze e Duhamel sulla teratologia sperimentale di Geffroy s Saint-Hilaire, e nello stesso modo non potevamo non chiamare in causa Canetti per mostrare in che modo il discorso di Caillois affronti le formazioni dell’immaginario scomponendole secondo un doppio versante, in quello di una raffinatissima fenomenologia dell’aberrante, orientata a cogliere le manifestazioni della piovra nelle sue occorrenze più insolite e anomale, e quello simbolico-allegorico, ove inquadrare le vaste oscillazioni del fenomeno secondo schemi di lettura piuttosto eterogenei. Queste due linee di lettura non smettono di interdefinirsi e accavallarsi in un’eco complice di concordanze complesse e risonanze spesso inedite.

In ultimo è stato il confronto Aristotele-Hegel/ Bataille-Caillois ad aver portato alla luce un ulteriore connotato della piovra. Qui pertanto l’informitas costituisce quel limite ineffabile oltre il quale la rappresentazione più che inventare rivela e dissotterra falde di realtà solitamente inavvertite. Nota infatti Caillois:
de loin en loin, un cumul des circonstances aboutit à la formation d’une structure, d’une propriété ou d’une espèce. Elles proclament ou elles illustrent avec plus d’éclat qu’il n’est habituel, en même temps de manière presque,obligatoirement différée et cryptique, l’existence des constantes fondamentales qui assurent la continuité latente du tissu du monde. Alors l’objet fait signe, devient signe. Il attire sur lui l’imagination juste, qui le découvre plus qu’elle ne l’invente […]. Si le mystère émeut, si l’insolite captive, si la poésie est possible, ce n’est peut-être qu’à causes des correspondances complexes et déconcertantes où se trouve éparpillée l’unité du monde. [40]
La logica fluida dell’immaginario permea ogni aspetto della vita umana, la doppia facendo crescere in essa e da essa qualcosa di mostruoso e di enigmatico, innervando il campo apparentemente unitario della realtà con un folto precipitato di immagini e riflessi, che nel loro variato e deforme ripetersi esibiscono la spastica solidità di intelaiatura immaginifica che non finisce mai di propagarsi come in surfusione attraverso un liquido, obbedendo ad una legislazione precisa, quasi rivelando l’esistenza mai sospettata di una grammatica combinatoria infallibile e di una sintassi che sembra essere esattamente quella della vertigine, la quale
accorde une existence indécise et éphémère, glissante à d’innombrables bulles qui crèvent à peine formées. Elles fourmillent et disparaissent à peine pressenties, emportées par la continuelle effervescence qui les suscite tel un ballet d’atomes. Elles sont dissoutes sur-le-champ. Certaines cependant rencontrent une chance de netteté, de contours. Il peut leur échoir une fugace et fragile stabilité. La mémoire les retient-elle, que ces ombres, ces vapeurs mentales bénéficient soudain d’une première permanence. Elles ont obtenu comme un sursis [...]. Aussi ai-je pu tout à l’heure reconnaître un elles un prolongement de la nature. Elles étaient écume évanescente et turbulence vaine. Je le retrouve pourvues de pesanteur, d’influence, de fécondité. Celles qui font bulles de neige deviennent idées, mythes, croyances, poèmes. Elles ont mis de leur parti la sensibilité, l’intelligence et l’art. Elles ont acquis une insaisissable et fluide solidité, celle des objets de réflexion, des sources d’émotion, des foyers de fascination. [41]
L’informe per Caillois, così come per Bataille, non è ciò che non ha forma, ma piuttosto è ciò che attraversa tutte le forme saccheggiandole dall’interno e assimilando aspetti periferici i ignoti, al tempo stesso sabotandone la stabile composizione. L’informe lavora come un’infezione invisibile che dilaga sulla liscia superficie delle forme facendole apparire quali portati provvisori di un bilanciamento di forze endogene che tuttavia stanno già virando verso un’altra matrice di configurazione. Il prefisso /-in/ del lemma /informe/ quindi non va inteso qui in senso privativo ma intensivo: esso segnala la presenza di una istanza voracemente moltiplicativa posseduta in nuce da ogni forma, attorno alla quale inizia ad essere intessuto un flebile circuito prismatico di contraccolpi morfogenetici che corrodono sempre di più il margine di distinzione tra la buona formazione e la deriva teratologica.

Nella piovra di Caillois quindi è trattenuto ad uno stadio illimitatamente larvale un vasto ventaglio di essere viventi i quali, grazie alla loro natura sottilmente parassitaria, finiscono col metterla in vibrazione tramutandola in un eruttivo arcipelago di agonizzanti gorghi organici ove lo stato di metamorfosi costante in cui essa versa può a buon diritto valere come il primo e forse più acuto momento di rivalsa della materia nei confronti dei secolari privilegi di cui ha goduto la forma, momento nel quale «il est possible de voir l’image de cette matière basse, qui seule, par son incongruité et par un manque d’égard bouleversant, permet à l’intelligence d’échapper à la contrainte de l’idéalisme». [42]


[1] Ora in Oeuvres, ed par. D. Rabourdin, Gallimard, Paris 2008, pp. 949-1032. Da ora in nota sempre abbreviato con O.
[2] Ivi, pp. 809-945.
[3] Naturalmente qui inteso non nella più nota accezione blumenberghiana, ma unicamente come riflessione sui portati metaforici e simbolici di cui si carica presso varie culture la piovra.
[4] Rispetto alla sezione più ampia di O, questa prima raccolta comprendeva soltanto Approches de l’imaginaire, Cases d’un échiquier e Obliques.
[5] O., p. 604. Corsivo nostro.
[6] Cfr. C. Lévi-Strauss, L’uomo nudo, ed. it. a cura di E. Lucarelli, Il Saggiatore, Milano 2008, nello specifico pp. 589-658.
[7] G. Durand, Le structures anthropologiques de l’imaginaire, PUF, Paris 1963.
[8] Cfr. soprattutto: G. Simondon, L’individu et sa génése physico-biologique, ed J. Millon, Grenoble 1995, pp. 107-114 e pp. 259-264.
[9] O., p. 975.
[10] Ivi, p. 977.
[11] Ivi, p. 982-983.
[12] B. Duhamel, “L’oeuvre tératologique d’Etienne Geoffroy Saint-Hilaire”, Revue d’histoire des sciences, Vol. 5, n. 4, Oct-Dec 1972, pp. 337-346.
[13] O., p. 959. Il riferimento diretto alla analogia torna non a caso anche nell’ultima frase del saggio.
[14] È questo il termine tecnico che usa Caillois per indicare i vari avatar della piovra. È probabile che qui /phantasme/ sia utilizzato in forza della sua etimologia greca, nell’accezione quindi di prodotto della φαντασια, cfr. Aristotele, L’anima, ed. it. a cura di G. Movia, Bompiani, Milano 2001, pp. 208 e 225.
[15] Si tratta ancora una volta di un termine desunto dalla teratologia di Geoffroy Saint-Hilaire. Cfr. J.-L. Fischer, Le concept expérimental dans l’ouevre tératologique d’Etienne Geoffroy Saint-Hilaire, Revue d’histoire des sciences, Vol. 5, n. 4, Oct-Dec 1972, pp. 347-364.
[16] O., soprattutto pp. 972-973. Il nesso piovra-massa non è una constatazione originale di Caillois, poiché tale parallelismo era già stato messo in luce da Michelet e da Hugo. Caillois non manca di sottolineare questo aspetto nei due paragrafi dedicati rispettivamente ai due autori.
[17] E. Canetti, Massa e potere, trad. it. di F. Jesi, Adelphi, Milano 1991, p. 26. Caillois nota che la piovra, grazie alla sua particolarissima conformazione oscilla sempre tra la coagulation e la dilatation, cfr. O., p. 984 e 993.
[18] Caillois parla di un vaste répertoire de formes: O., p. 1024.
[19] E. Canetti, cit., pp. 41-43.
[20] O., p. 1031.
[21] È Deleuze stesso che esplicita il debito, H. Cohen, Kants Theorie der Erfahrung, Bonn, Dümmlers, 1885, § 428 e sgg.
[22] G. Simondon, cit, pp. 90 e sgg.
[23] O., p. 1029.
[24] Il termine /teratogenesi/ è usato dallo stesso Caillois e ritorna varie volte verso la chiusa dello scritto. Cfr. O, p. 1003.
[25] Ivi, p. 1024.
[26] Ivi, p. 1028.
[27] Ivi, p. 1029.
[28] Aristotele, Le parti degli animali, ed. it. a cura di A.L. Carbone, BUR, Milano 2008, p. 255 e sgg.
[29] Ivi, p. 263.
[30] Ivi, p. 383.
[31] Ivi, pp. 411-413.
[32] Ivi, p. 207.
[33] Notiamo per inciso che, fatta eccezione per l’irritabilità, gli altri cinque processi si trovano tutti nel trattato di Aristotele su Le parti degli animali.
[34] G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, ed. it. a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2000, p. 603.
[35] Aristotele, cit, p. 195.
[36] G. Bataille, Oeuvres complètes I, Premiers écrits, ed. par M. Foucault, Gallimard, Paris 1970, p. 217.
[37] O., p. 972. Corsivo nostro.
[38] O., p. 1030. Altrove Caillois, citando Hugo, nota che la piovra viene vista come una énorme, enveloppante et gluante araignée marine, cfr. O., p. 985.
[39] Ivi, p. 1032.
[40] Ivi, p. 1033.
[41] Ivi, p. 1032.
[42] G. Bataille, cit., p. 225.



Victor Hugo, Illustrazione per "Les travailleurs de la mer", 1866

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